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LA LEGGENDA DEI DUE FRATELLI CINESI

 

Nella provincia del Fujian, nel sud-est della Cina, si narra una leggenda nata ai tempi della dinastia Tang: la leggenda dei due fratelli e del campo diviso.

Un padre lasciò in eredità ai suoi due figli maschi un terreno. Nel testamento dispose che esso fosse diviso esattamente a metà e che ognuno di loro lo utilizzasse come meglio volesse.

Il più piccolo dei due, serbando vecchi rancori e non volendo avere nulla a che spartire con il fratello maggiore, pretese e ottenne di stipulare un atto davanti al notaio del paese, nel quale entrambi si impegnavano a non attraversare mai, e per nessun motivo, il confine che separava i due terreni.

Il fratello più grande decise di sfruttare la sua parte piantando sementi e alberi, per ricavarne frutti da mangiare e vendere al mercato e lavorò duramente per molte settimane, dalla mattina alla sera.

Il fratello più giovane, invece, non amava lavorare la terra e utilizzò la sua parte di eredità per ospitare delle feste che duravano dei giorni, non preoccupandosi mai di lavorare il suo campo per renderlo fertile e produttivo.

Ora avvenne un dì che il fratello più grande ebbe un incidente e si ribaltò con il suo carretto, rimanendo schiacciato sotto di esso, senza riuscire a liberarsi. Chiamò allora disperatamente e con tutte le sue forze il fratello, chiedendo aiuto. Ma quegli rispose che non poteva aiutarlo, perché così facendo avrebbe oltrepassato il confine che, per loro stessa volontà, si erano impegnati a non oltrepassare mai, per nessun motivo. Allora il fratello ferito, sentendo ormai la morte vicina, gli promise che se lo avesse aiutato gli avrebbe donato il suo intero campo, ricco di frutti da mangiare e da vendere. L’altro, convinto dall’interessante offerta, varcò quindi il confine e liberò il fratello da sotto il peso del carro, salvandolo così da morte certa.

In seguito i due andarono di nuovo dal notaio, stipularono un atto di donazione e il giovane prese possesso del terreno, godendo dei frutti del lavoro del fratello, diventati anch’essi di sua proprietà.

Quando però giunse di nuovo il tempo di lavorare la terra, dato che il fratello giovane non sapeva lavorarla, né aveva voglia di farlo, chiamò il fratello maggiore e gli propose la restituzione del campo che gli aveva tolto, a patto che lui lavorasse anche la sua parte.

Questi accettò e tornarono di nuovo dal notaio per stipulare un nuovo atto.

Ora il fratello più grande era tornato in possesso della sua metà di terreno solo che doveva lavorare il doppio, per mantenere fede all'impegno preso. Ma fu contento di farlo, perché il fratello gli aveva salvato la vita e voleva ricompensarlo in qualche modo.

Lavorò il proprio campo come sempre, coltivando alberi da frutto e ortaggi di ogni tipo e con lo stesso fervore lavorò il campo attiguo, coltivando delle piccole piantine.

Quando venne di nuovo il tempo del raccolto, il fratello giovane andò da suo fratello e gli chiese conto del lavoro fatto: «Che ho da farci io con quelle piantine che non danno frutto? Cosa mangerò nei prossimi mesi? Cosa venderò al mercato? Come camperò dunque? Orbene, dato che tu mi hai imbrogliato, non lavorando per me il mio campo come promesso, torniamo dal notaio e scambiamoci il terreno. Prenderò io il tuo, ricco di buoni frutti e ortaggi, e tu prenderai il mio, e ti terrai quelle inutili piantine ricoperte di peluria bianca che non danno alcun frutto.»

I due fratelli tornarono dal notaio per stilare un nuovo atto. Lo firmarono e l'uno divenne possessore del terreno dell’altro. E così il giovane godette dei frutti maturati con il lavoro del fratello e ne mangiò, e quelli che non riuscì a mangiare li vendette, vivendo per alcuni mesi senza problemi di denaro.

Ma quando ebbe consumato tutti i frutti, si ritrovò di nuovo nella condizione di dover lavorare la terra per produrne altri, cosa di cui lui non aveva né la voglia né la capacità di fare.

Rimase perciò senza frutti da mangiare o da vendere, divenendo in breve tempo povero e affamato.

Il fratello più grande, invece, continuò per tutto l’inverno a curare le piantine verdi, e in primavera ne raccolse i frutti, che consistevano in semplici germogli delicati, chiamati ancheYin Zhen, aghi d’argento, che fece recapitare all’imperatore Li Yuan.

Quest’ultimo si fece preparare un infuso e lo bevve, rimanendo talmente deliziato dal sapore delicato della bevanda, che ordinò ai suoi funzionari di acquistare e pagare a peso d’oro tutte le piantine che avessero trovato nella provincia del Fujian.

Il fratello maggiore divenne molto ricco e quando il minore lo venne a sapere, povero e affamato tornò dal fratello, chiedendo l’elemosina e il perdono per non aver saputo discernere di quale fortuna avesse potuto beneficiare.

Il maggiore lo accolse e gli disse: «Fratello mio, tutta la ricchezza che ora vedi nella mia casa, potevamo condividerla insieme, se tu fin dall’inizio non avessi voluto tracciare un confine che ci separasse. Ma la cosa peggiore di tutte è stata quella di aver voluto costruire una barriera interiore tra di noi, tra il nostro stesso sangue. La tua avidità e la tua malvagità ti hanno portato alla povertà e alla fame, e ora vieni da me a chiedere un po’ di elemosina per sopravvivere. Ebbene, poiché io sono del tuo stesso sangue e una volta mi hai salvato la vita, io ti perdono, ma ti chiedo d’ora in avanti di non cercare più di dividere ciò che può essere unito; di lavorare onestamente anziché oziare e sfamarti con la fatica del prossimo; di amare di più e seguire la via del perdono, anziché odiare e serbare rancore.»

Il minore, commosso dalle parole e dalla generosità del fratello, si inginocchiò dinanzi a lui e, prostratosi con la testa fino a respirare la polvere della terra, gli baciò i piedi, bagnandoglieli di lacrime e promise solennemente di cambiare e convertire il suo cuore duro.

E così, insieme, continuarono in armonia a coltivare le piantine di Yin Zhen e per molti anni fornirono la materia prima per preparare il prezioso tè bianco dell’Imperatore.

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