top of page

LA LETTERA DEL VAMPIRO

 

Tempo fa entrai in un casa abbandonata. La puzza di muffa era così opprimente da farmi precipitare di corsa verso le finestre per far entrare un po’ d’aria fresca.

Mi trovavo nel salone principale. I mobili antichi e ormai decadenti davano l’impressione di essere stati il pasto delle tarme per molti anni. Uno scrittoio in un angolo della sala catturò la mia attenzione. Mi apprestai ad aprirne i cassetti per esplorarne il contenuto, con la speranza di trovare qualche documento interessante.

C’erano oggetti di poco conto, ma un foglio di carta ingiallita dal tempo mi colpì in modo particolare. 

Non mi vergogno ad affermare che quello che vi lessi mi terrorizzò a tal punto da costringermi a fuggire di corsa da quel luogo. La sensazione che quella casa non fosse del tutto disabitata mi assalì all'improvviso e non esitai un istante a tornare sui miei passi e andarmene. Solo quando la distanza tra me e quel lugubre posto fu rilevante, mi accorsi che tenevo ancora in mano quella lettera. Di certo non mi è passato per la mente di andare a riporla dove la presi.

Non ho mai rivelato a nessuno quanto vi trovai scritto. Voglio farlo ora, per la prima volta.

Starà a voi credere o meno al suo contenuto.

 

Mi accingo a scrivere queste poche righe a beneficio di quanti un giorno volessero conoscere la mia vita, la mia discendenza e la mia stirpe. 

Nacqui nel 641 a.C., nell'antica capitale assira Ninive, durante il regno di re Assurbanipal, figlio di re Asarhaddon. Durante quel periodo, in cui regnava la dinastia Sargonide, inaugurata da re Sargon II, l’Assiria attuò una campagna di espansione e consolidamento dei territori, combattendo anche guerre civili, che portarono alla conquista di Babilonia, dell’Egitto - con la distruzione di Tebe - e dell’Elam. 

Mio padre Ashur-Aha-Iddina era un generale dell’esercito assiro e spesso era impegnato in campagne e pattugliamenti delle terre di confine. Come tutti gli aristocratici guerrieri possedeva delle terre che furono culla dei miei giochi di infante ma anche luogo di addestramento negli anni della prima adolescenza. Contadini, cortigiani e schiavi lavoravano nella terra di mio padre che produceva ogni sorta di bene, frutto del lavoro dei campi e dell’allevamento del bestiame. Erišuša era il nome di mia madre. Come ogni donna, in quel tempo era usanza almeno una volta nella vita sedere nel tempio di Afrodite e giacere con l’uomo che, gettandole una moneta nel grembo, l’avesse scelta per fare l’amore. Il frutto di quell'atto sacro in onore della dea Ishtar fu il mio concepimento, la qual cosa piacque molto a mio padre, che prese con sé e sposò la donna che mi generò.

Come ogni giovane, raggiunta la giusta età, fui arruolato nell’esercito ed ebbi un addestramento rigido nell’arte del combattimento. Al compimento del mio decimo anno di età il re Assurbanipal morì e l’impero cominciò ad attraversare un grave periodo di decadenza. Dovemmo affrontare sanguinose lotte fratricide che durarono anni. Il re dei Medi Ciassarre, alleatosi con il re di Babilonia Nabopolassar, mosse guerra controdi noi e a una a una caddero Tarbisu, Assur, Nimrud e per ultima la mia amata Ninive, dove nacqui. La città fu ridotta in cumuli di rovine e mio padre perì nella estenuante difesa delle sue mura. Correva l’anno 612 prima dell’era cristiana.

Fuggii lasciando tutto dietro di me. Andai verso occidente. Attraversai il deserto della Siria camminando di notte e riposando di giorno. Gli incubi durante il sonno mi tormentavano e le battaglie rivivevano nei miei sogni. Le crudeltà inflitte ai guerrieri nemici non mi davano tregua agitando il mio riposo. Teste mozzate, occhi cavati dalle orbite, uomini seppelliti vivi erano le sole immagini che si stagliarono nelle mia mente per giorni e giorni.

Arrivato ad un’oasi, nei pressi di Palmyra, mi imbattei in una tribù di beduini e barattai con loro le mie armi, la spada e l’arco, in cambio di un vecchio cammello, che mi abbandonò dopo due giorni di cammino, lasciandomi di nuovo a piedi ed in balia del sole cocente. La poca acqua rimasta sarebbe bastata per un altro giorno ancora dopodiché avrei atteso la morte. Le forze mi stavano abbandonando e il mio progetto di raggiungere l’Egitto stava naufragando nelle dune sabbiose del deserto siriano. A un giorno di marcia da Damasco trovai rifugio in una grotta, dove decisi di attendere la mia ora.

Rimasi lì almeno altri tre giorni senza trovare la forza di procurarmi né cibo né acqua. La bocca era arida e non riuscivo neanche a bagnarmi le labbra con la saliva che non avevo. La polvere del deserto ostruiva tutti i miei pori e la sentivo dentro le narici e nella gola. Contavo i battiti del mio cuore, attendendo l’ultimo, dopodiché le mie orecchie non avrebbero udito altro suono se non il silenzio. Mentre ero intento a pensare al mio ultimo respiro, vidi entrare nella grotta due figure nere come la notte, maestose e meravigliose nello stesso tempo.

Riuscii a proferire alcune parole, o forse le pensai solamente, e rivolgendomi ad esse dissi: «Assur, Signore, Alto Monte, tu che procreasti te stesso e gli altri dèi, tu che determini i fati degli dèi e degli uomini, tu e la tua sposa Ninlil siete venuti qui per prendermi e portarmi nel vostro regno. Eccomi dunque sono pronto».

Le oscure figure si avvicinarono a me e una delle due mi sollevò da terra con la forza di un solo braccio. Era una donna dai capelli corvini e dalla fluente chioma che le ricadeva sulle spalle. I suoi occhi di ghiaccio scrutavano il mio essere mentre mi teneva sollevato da terra come se fossi un involucro vuoto.

L’altro, un uomo, era rimasto qualche passo indietro ma percepivo che stesse comunicando con la donna anche senza parlare. Lei rivolgendosi a me, mi guardò con occhi di madre e mi disse: «Non sono la dea Ninlil né la dea Ishtar. Non sono Afrodite né Inanna. Io sono Colei che sono da tempo immemore e tu sei il mio prescelto. Ti seguo da molte lune ormai e vedo in te le caratteristiche che ti rendono degno di far parte delle nostre schiere di immortali. Sì, posso darti il dono dell’immortalità… se tu lo vuoi, o lasciarti come cibo per i vermi che si nutriranno della tua putrefazione. Accettami incondizionatamente come tuo Sire e io accetterò te come mio figlio e mia progenie. Sarai della stirpe di Caino, figlio del Primo Uomo il quale generò Enoch e tutta la sua specie, fino ad arrivare a me, Colei che ora ti tiene nel suo freddo abbraccio. Dammi la tua vita e riceverai in dono il mio sangue e il mio potere. Sarai del mio sangue e nulla potrà arrecarti danno se non il sole e il fuoco. Il sangue degli uomini sarà il tuo nutrimento e vivrai nell’oscurità per tutti i giorni della tua vita.»

Quelle parole scossero la mia mente, e più che con la voce risposi con i miei occhi, e guardando la donna come un figlio guarda sua madre, ormai inerme e senza forza accettai lo scambio. La mia vita era nelle sue mani. Mi guardò mentre schiudeva le sue labbra e due denti aguzzi e lunghi si avvicinarono alle mie carni, affondando nel mio collo. Suggeva il mio sangue, che fluiva via dalle mie vene fino all'ultima goccia e sentivo il mio cuore battere sempre più lentamente, fino a fermarsi. Quando ormai il mio corpo non era altro che un fantoccio vuoto e senza vita, Lei si aprì una vena del polso con la sue lunghe e taglienti unghie e, avvicinandola alle mie labbra, fece cadere delle stille di sangue dentro la mia bocca.

Ero tornato alla vita nello stesso momento in cui gli inferi aprirono le loro fauci per inghiottirmi, ricevendo energia, forza e potenza della mente.

Da allora divenni anche io un figlio di Caino, e dopo duemilacinquecento anni vivo ancora su questa terra, come Signore della notte.

La mia stirpe ne è testimone. 

 

Lettera firmata.

bottom of page